Corona virus: cronache dalla quarantena

Testimonianza del Dottor Alessandro Baracco, Medico Competente della ASST di Lodi, Socio attivo e qualificato SIML, Membro della Commissione Permanente sull'attività professionale dei Medici Competenti

La vita del medico competente è sovente noiosa. Si arriva al mattino presto in un ospedale di provincia e si pensa che sarà un giorno come un altro. Poi alle 16 si viene a sapere che ad un paziente della Rianimazione è stata richiesta la ricerca del Covid19. La Cina è lontana e l’ospedale è in mezzo a campi piatti che cominciano a rinascere dall’inverno. Il medico competente e il direttore sanitario di presidio vanno in rianimazione ed aspettano il referto, verificando che gli operatori siano sufficientemente protetti: non sanno ancora che per cinque giorni diventeranno una coppia inseparabile e insonne. Passano le ore e alle 21 il loro mondo piccolo mondo cambia: il referto è positivo. Il medico competente deve rispondere alla immediata preoccupazione dei lavoratori, ricostruire il percorso del paziente all’interno del presidio ospedaliero e identificare tutti gli operatori che lo hanno assistito: per ciascuno vuole sapere, oltre ai dati professionali, il numero di telefono e il numero di figli: pensa che la presenza di persone care a casa costituirà per loro un ulteriore elemento di stress. A mezzanotte il primo elenco è pronto e viene inviato alla war room aziendale e al centro regionale: nei successi giorni invierà altri 21 elenchi,relativi alla sua azienda: 2500 sanitari che in quattro presidi, nonostante la comprensibile apprensione, continueranno a garantire assistenza alla popolazione loro affidata. Alcuni (Rianimazione e Medicina) resteranno ininterrottamente in ospedale per 72 ore, riposando a tratti in alcune stanze messe a loro disposizione. Il medico competente sceglie di vivere con loro, di diffondere tra tutti i 2500 dipendenti il suo numero di telefono personale e la sua e-mail personale, perché vorrebbe rassicurarli e vuole che possano chiamarlo, sentire un presenza vicina, avere informazioni nel caos che ha avvolto la campagna, di solito nebbiosa ma in questi giorni baciata da una primavera anticipata: nei cinque giorni di “clausura” riceverà 724 telefonate e 294 mail. Tutti ricevono una risposta telefonica: salvo rarissime eccezioni, i lavoratori sono tutti molto equilibrati e motivati, consci del proprio ruolo in un momento di emergenza della comunità che curano, ma in maggioranza preoccupati per i propri figli piccoli e per i cari anziani e fragili. Nel frattempo, deve impegnarsi per monitorare la popolazione a lui affidata;attivare la esecuzione dei tamponi nasali, che lui e il direttore sanitario di presidio vorrebbero eseguire con raziocinio, partendo dai soggetti più esposti(in realtà qui si verificherà l’unica manifestazione di irrazionalità tra i lavoratori: tutti correranno ai punti di esecuzione e il numero di test risulterà così elevato da mandare in crisi il centro di riferimento regionale,da aumentare la durata di refertazione da 6 ore a 5-6 giorni e impediranno di avere il monitoraggio completo dei contatti certi); di stabilire i percorsi di ingresso in isolamento fiduciario e di ritorno in servizio; di lavorare con la war room; di definire con il RSPP quali DPI e quali procedure di sicurezza scegliere per i diversi scenari. La notte del quinto giorno vengono le forze dell’ordine in ospedale per identificare lui e il suo “fratello” della direzione sanitaria:decidono che è il momento di tornare a casa. Il medico competente percorre i 42 km che lo portano a casa in una notte di primavera, anche se è febbraio: alcuni militari gentili e stanchi lo fermano ad un posto di blocco, ma lo lasciano passare: scopre che il mondo fuori è peggio organizzato e meno sicuro dell’ospedale di provincia in cui ha vissuto insieme a sanitari instancabili,persone splendide che il premier ha appena insultato in televisione.

Se gli chiedessero come si gestisce un’emergenza, il medico competente sa che risponderebbe: in squadra.Si può fare un buon lavoro e sopravvivere allo stress e alla (grande) fatica anche se si è il solo medico competente se hai un buon direttore sanitario di presidio accanto (e in questi casi la simpatia umana è un valore aggiunto), un direttore generale con il coraggio di assumere prontamente le decisioni giuste,un direttore sanitario aziendale preparato e presente e capace di esporsi, un RSPP che sembra un’enciclopedia della sicurezza, una responsabile del SIO di presidio pro attiva e espertissima, un’azienda che già a fine gennaio si era data una procedura per un evento che mai avrebbe immaginato possibile. E tutto è più facile se si è cresciuti in una buona Scuola e si hanno, anche lontano, pochi colleghi fidati che invece di whatsapp insulsi ti mandano informazioni di letteratura solide ed utilizzabili e ti ascoltano quando il gioco sembra troppo grande.

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